Ciao Cesare! Bisiaco di altri tempi

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Cesare a Adriana
Cesare a Adriana

Cesare Zio, la prima volta che lo vidi fu alla festa a sorpresa organizzata da Adriana, sua moglie, per il suo ottantesimo compleanno. Marco, il suo primogenito nonché mio futuro marito, che stavo iniziando a conoscere in quel periodo, mi aveva invitato all’evento e mi aveva illuminato sul fatto che suo papà non amasse i festeggiamenti né tantomeno le sorprese. Lo descriveva con tanta dedizione che mi faceva nascere grande stima e timore reverenziale. Avrei pensato al regalo e ascoltando le narrazioni, presi un libro su Mahler, musicista prediletto, e altro tema fu la scelta del biglietto per Cesare che non avevo mai incontrato prima di allora. 

Era il 23 marzo del 2009, in una sala da pranzo di un Hotel prestigioso di Milano vidi il festeggiato entrare, inconsapevole dell’evento che lo attendeva, che a dispetto di tutto e di tutti, prese parte con benevolenza all’accoglienza di coloro i quali gli volevano bene e che erano presenti. Non seppi mai se il regalo gli fosse stato gradito, perché pacchetti e biglietti copiosi non erano più abbinati. Ma questo non importa, perché lui scrisse di suo pugno un biglietto di ringraziamento a tutti gli invitati, inviato per posta. Questo dice dello stile e del rigore elegante che lo contraddistingueva, un uomo di altri tempi. 

La conoscenza reciproca continuò in occasioni di ritrovi in ospedale per il figlio. Lui sempre presente, attento e silenzioso, che accompagnava Adriana sempre piena di energia e di esperienze da condividere. Ma in modo diverso anche Cesare aveva storie da raccontare. Quando nel 2010, d’estate incominciai ad andare per due settimane a Duino con Marco e i suoi genitori, ho ascoltato racconti dell’infanzia di Gorizia e di Monfalcone. E le gite insieme per rendere realistici i ricordi. Ed era come essere con lui, rivisitando la sua infanzia, la sua adolescenza, la sua gioventù. E sentirlo suonare con la chitarra il preludio di Bach, che conoscevo nelle note del pianoforte. E le citazioni latine perfettamente memorizzate al tempo del ginnasio e la memoria di una cultura conservata scrupolosamente. Ho imparato a giocare a burraco e mi piaceva stare in coppia con lui, sbagliavamo e non ce la prendevamo e sorridevamo degli errori, quasi che lo spirito competitivo dei nostri avversari appartenesse a un’altra dimensione. 

Quando è mancata Adriana, parte di lui se n’è andata, ma già da prima quando lei iniziò a star male, si batteva per lei. La memoria cominciò a fare qualche scherzo, ma la settimana con noi al lago non la dimenticheremo mai. Dall’entusiasmo per la partenza e al brontolamento per l’inospitalità del luogo. Ma il posto più bello dove stare era per lui era l’appartamento delle bambole dove siamo noi, pranzi semplici casalinghi e le chiacchierate infinite, questo gli sembrava perfetto. Lentamente il corpo ha risentito della sofferenza dell’anima e pian piano si è consumato. Ma come sempre, come per non dar disturbo ci ha lasciato in un momento preciso, defilato e senza far rumore. Alla commemorazione al Cimitero di Lambrate, Enrico, il terzogenito, ha letto, accompagnato dalla musica classica naturalmente, un testo meraviglioso in cui è racchiusa l’essenza di un padre, di un marito, di un uomo, di un nonno, che con grande discrezione, con riservatezza, ma con la fermezza di chi è un vero punto di riferimento, ha saputo essere un albero forte con radici profonde a cui appoggiarsi e sui cui rami osservare la vita da una prospettiva diversa. Adesso sappiamo che sarà vicino alla sua amata Adriana e noi col suo sorriso negli occhi lo terremo sempre nel cuore!

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