Che cosa hanno in comune uno scrittore americano nato nei primi del Novecento e un calciatore argentino degli anni Sessanta? Probabilmente nulla, se li si guarda da un punto di vista poco attento. Non hanno in comune origini, né date né tanto meno la professione o il target a cui le rispettive esistenze si sono rivolte. Eppure se li si mette sotto una lente d’ingrandimento, si può davvero trovare un filo conduttore che leghi questi due personaggi tra di loro. 

Maradona è stato, con grosse probabilità, il calciatore più grande della storia e Bukowsky lo scrittore più incisivo e ficcante del secolo scorso. Eppure quando li si nomina, l’appunto che tutti tendono a fare è “Erano bravi si, ma come uomini mica tanto”.  

Una retorica che sembra suggerirci che il talento, per essere completo, deve essere casto, puro. Non può cedere alle debolezze degli uomini, non può inciampare laddove cade la gente comune. Forse perché si tende a mitizzare il talento, e si perde di vista il fatto che dietro ogni colpo di genio si nasconde la mano o il piede di un uomo. Ed è allora che la moralità prova a delegittimare chi è diventato grande facendo cose che sanno fare in pochi ed è rimasto piccolo in cose che sanno fare tutti. Rimango dell’idea che quando nasciamo siamo in credito con il mondo e la società che lo gestisce. Perché per reagire agli imprevisti spesso tragici a cui la vita ci mette di fronte, senza cedere al fascino del male, non esiste un manuale d’istruzione. E c’è chi inciampa, chi schiva le buche, chi le salta facendo capriole maestose ma atterra rompendosi una caviglia. Maradona e Bukowsky sono stati uomini, che senza ombra di dubbio, hanno covato del male dentro che li ha portati a vivere una vita non certo eccelsa. Ma quanti uomini ci sono che senza essere sublimi scrittori o fenomenali calciatori, si sono corrotti al punto da dimenticarsi anche di se stessi? Ed allora perché, quando si giudica un artista ‘sregolato’, bisogna per forza fare un appunto sull’uomo? 

Forse perché oltre a mitizzare il talento, abbiamo anche bisogno di ‘umanizzarlo’ per comprenderlo, trovando comunque dei difetti. Perché l’essere umano è l’epicentro di tutte le contraddizioni che rendono questo mondo un posto tanto strano quanto meraviglioso da vivere. Noi non possiamo e non dobbiamo separare l’uomo dal talento, non ne abbiamo il diritto. Noi non possiamo sindacare sulla condotta di vita di nessuno, neppure di chi ci ha fatto emozionare così tanto da non riuscire più a dimenticarlo. 

Noi non abbiamo bisogno di ricordare a noi stessi o a Maradona che oltre che essere stato un grande calciatore è stato anche un tossicodipendente e un pessimo padre di famiglia. Anche perché lo ha già fatto lui, quando in un intervista confida: “…pensate a che calciatore sarei stato senza la cocaina”. 

Proviamo a pensare noi a che mondo sarebbe stato senza Maradona, senza il suo talento e anche senza le sue contraddizioni. Proviamo e pensare a quante domande in meno ci faremmo senza il cinismo esistenzialista di Bukowsky, senza il suo immondo realismo. Lui si, a differenza di chi lo giudica, ha donato legittimità anche a tutte quelle persone incapaci di sentirsi a loro agio nel mondo e che trovano negli eccessi una via di fuga. Siamo pieni di scrittori di fantasia, incapaci di parlare con la parte più oscura che abita in ognuno di noi. Bukowsky ha rotto quella barriera, parlando da pancia a pancia, senza mai essere formale e risultandoci tanto vero da essere così fastidioso che quasi non vorremmo leggerlo. Perché la verità è che il male alberga in ognuno di noi, poi c’è chi impara a conviverci, chi si fa sedurre e chi lo asseconda conducendo una vita fuori dai canoni classici. E ci chiediamo di come sia possibile che certe figure, che sono riuscite a fare della loro passione un lavoro, si siano abbandonate ad uno stile di vita ricco di eccessi e stonature, perdendo ogni tipo di morale. Ma probabilmente anche loro, si saranno sempre chiesti, come fa chi si ritrova a fare un lavoro che detesta e vive una vita di sacrifici, ad essere sobrio e sempre equilibrato. La risposta è che siamo esseri diversi, ognuno nel suo piccolo è un universo a parte. E ognuno reagisce come può, agisce come sente e vive come riesce. 

Noi non possiamo lasciare che la moralità intacchi  l’immortalità di queste persone. Perché non dobbiamo pensare a che calciatore sarebbe stato Maradona senza la cocaina o a che scrittore sarebbe stato Bukowsky senza l’alcool. Dobbiamo pensare a chi saremmo stati noi senza delle figure così controverse e tanto geniali. 

Solo allora potremmo capire che il talento non va compreso, ma goduto. E che ciò che unisce uno scrittore alcolizzato, figlio di un sergente statunitense, e un bambino scalzo di Villa Fiorito arrivato ad essere un dio tra i barrios Argentini e i vicoli di Napoli, non è la condotta di vita, la sregolatezza, gli eccessi. Ma il talento, il genio. 

Quello che non si può seppellire sotto tonnellate di terra e di giudizi. Quello che continua a emozionare nonostante lo scorrere del tempo, perché di tempo non ne ha. 

Leonardo Giordani

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