Le esportazioni lombarde verso gli Stati Uniti sono state pari a 14,2 miliardi di euro (2023)
“Il protezionismo non porta benefici a nessuno. Speriamo che Trump torni sui propri passi. I dazi sono una misura che penalizzerebbe la Lombardia, già frenata dalla crisi della Germania”. A lanciare il grido d’allarme è Eugenio Massetti, presidente di Confartigianato Imprese Lombardia”.
“L’imposizione di dazi addizionali, nelle ipotesi del 10% o del 20%, farebbe calare le nostre esportazioni verso gli Stati Uniti, rispettivamente, del 4,3% o addirittura del 16,8%”.
Nel 2024 il valore dell’export italiano negli Stati Uniti (dato ancora provvisorio) è stato di circa 65miliardi. Le esportazioni lombarde verso gli Stati Uniti sono state pari a 14,2 miliardi di euro nel 2023, l’8,7% del totale export lombardo (163,0 miliardi di euro). Gli Stati Uniti sono stati così il primo partner commerciale extra-europeo della Lombardia e il terzo a livello globale, dopo Germania e Francia (Istat).
C’è preoccupazione per gli inasprimenti doganali
Gli Usa, inoltre, sono il secondo partner commerciale delle imprese che esportano dalla Città Metropolitana di Milano (dopo la Svizzera) con oltre 4 miliardi 494 milioni di euro (fra gennaio e settembre 2024).
L’imposizione reciproca di inasprimenti doganali tra USA e UE avrebbe un’influenza negativa sulle imprese: nell’indagine condotta da Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza (dati elaborati dal Centro Studi) lo rileva l’86% di chi svolge attività di import e il 74% di chi pratica sia attività di import sia di export. In sostanza, per più di 3 imprese su 4.

I settori più rappresentativi delle esportazioni lombarde verso gli USA
Nei primi nove mesi del 2024, Assolombarda mette in evidenza come i settori manifatturieri più rappresentativi delle esportazioni lombarde verso gli Stati Uniti siano stati i seguenti:
meccanica ed elettronica (32,4%), di cui il 20,5% rappresentato dalla meccanica, l’8,3% dagli apparecchi elettrici e il 3,6% dall’elettronica;
chimica e farmaceutica (17,0%), rispettivamente per il 9,8% e il 7,2%;
moda (14,6%), di cui l’8,5% rappresentato da abbigliamento e altri prodotti tessili, il 3,3% dalle calzature e il 2,8% da pelli e cuoio;
metalli (12,4%);
agroalimentare (8,7%).
Questi numeri rappresentano i settori più rilevanti in termini monetari all’interno delle esportazioni verso gli Stati Uniti. Tuttavia, per comprendere quanto ogni settore sia esposto, è necessario rapportare il suo export negli Stati Uniti all’export verso tutto il mondo. Più questo rapporto è elevato, più sarà (teoricamente) difficile trovare un mercato alternativo, nel caso di innalzamento di tariffe doganali.

Gli indici di esposizione così calcolati sono mostrati in Figura 3: rispetto alla media lombarda, i settori maggiormente esposti verso gli Stati Uniti sono il sistema moda, l’agroalimentare, la meccanica e gli apparecchi elettrici e la farmaceutica. Al contrario, settori quali chimica, metalli, mezzi di trasporto, gomma-plastica, legno e carta, ed elettronica sono relativamente più indipendenti dal mercato statunitense.
I settori della Lombardia più esposti alla prospettiva di nuovi dazi
Dall’analisi di Assolombarda è possibile guardare da un altro punto di vista all’esposizione dei singoli settori, in base alle tariffe doganali oggi esistenti. Questa analisi è utile in particolare nell’ipotesi di nuove tariffe uniformi (blanket) su tutti i comparti, per cui i settori più colpiti sarebbero evidentemente quelli con le tariffe oggi più basse. Il quadro cambierebbe nel caso di innalzamenti uniformi delle tariffe, che incrementino i dazi su tutti i prodotti di una certa percentuale, indipendentemente da quelli prima praticati.
Stando ai dati più recenti di fonte World Bank, la tariffa media praticata dagli Stati Uniti sulle importazioni dall’Italia è stata pari al 3,1% nel 2022. Nell’ultimo ventennio, questa percentuale aggregata è variata da un massimo di 4,2% nel 2000 a un minimo di 2,3% nel 2017, mentre le tariffe annunciate nelle scorse settimane si collocano su un’altra scala di grandezza (ad esempio, 25% nel caso citato sopra dell’acciaio e dell’alluminio).
Già oggi, tuttavia, esistono differenze sostanziali tra diverse categorie di prodotti: ad esempio, si passa da un dazio dello 0,2% applicato sul legno al 10,3% su abbigliamento e calzature. La Figura 4 mostra il posizionamento di alcuni macrosettori italiani in base alla tariffa imposta nel 2022 dagli Stati Uniti.

Nel caso di nuove tariffe uniformi su tutti i comparti, i settori più colpiti sarebbero dunque legno, chimica e farmaceutica, meccanica ed elettronica, metalli e mezzi di trasporto. Viceversa, l’agroalimentare e i comparti del sistema moda subiscono già dei dazi significativi, e potrebbero quindi essere esentati da ulteriori tariffe (almeno in parte), ma a livello lombardo sono anche quelli geograficamente più esposti al mercato nord-americano.
Spada: “All’Europa serve una politica industriale a lungo termine”
La Lombardia non è solo la locomotiva d’Italia ma è un’area che “fa un Pil maggiore di Austria, Danimarca e il doppio della Grecia. È un osservatorio privilegiato dove emerge chiaramente che è l’Europa il nostro perimetro minimo d’azione e ragionamento e che anche in questa parte di territorio europeo vale la stessa regola che vale ovunque: senza industria non c’è Italia”.
Intervenuto su Il Sole 24 Ore, il presidente di Assolombarda, Alessandro Spada, condivide la preoccupazione generale (“l’introduzione dei dazi potrebbe costare all’Italia fino a 7 miliardi di dollari”) al tempo stesso, però, Spada pone l’accento sulla questione che “ci consente più di tutte di attivare la crescita e rafforzare la nostra competitività: gli investimenti e, quindi, industria 4.0. Va rifinanziata e va reinserito il software nel beneficio”.
Garosci: “Monitorare anche l’introduzione di dazi extra-europei”
La conseguenza pressoché immediata e più importante sarebbe l’aumento dei prezzi con una maggiore inflazione: con una contromisura UE di dazi del 10–15% (in risposta agli eventuali dazi americani) sui prodotti che vengono importati maggiormente dagli Usa (si tratta per lo più di prodotti importati da imprese intermediarie e non direttamente da venditori/rivenditori), le imprese importatrici assorbirebbero circa la metà di questo incremento.
L’effetto sui consumatori nel territorio di Milano, Lodi, Monza e Brianza – secondo la stima del Centro Studi di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza in raccordo con Aice (Associazione italiana commercio estero) – sarebbe di un probabile aumento dei prezzi del 5%.
“È importante che le nostre imprese monitorino anche l’introduzione di dazi tra i vari Paesi anche se non riguardano direttamente l’Europa o l’Italia – afferma Riccardo Garosci, presidente Aice (Associazione Italiana Commercio Estero) e vicepresidente Confcommercio e Confcommercio MiLoMB.
“L’introduzione di dazi per il Messico o il Canada, ad esempio, colpirebbe le aziende italiane che hanno produzioni in quei Paesi o che forniscono di beni intermedi aziende localizzate in quei Paesi per essere vicine al mercato statunitense.
Ed è bene ragionare con attenzione anche su un ulteriore aspetto: oltre ai comparti principali del Made in Italy, dazi imposti ad altri settori che vedono le imprese italiane parte della catena del valore, possono provocare ulteriori danni alla nostra economia”