L’11 novembre 2023, un giorno qualunque per noi; l’ultimo giorno di vita per Giulia Cecchettin. Il femminicidio che ha invaso i media e che ha riportato alla superficie un discorso fondamentale da affrontare come società. Giulia era una giovane donna, una studentessa di 23 anni, che è stata uccisa a coltellate dal suo ex-fidanzato, Filippo Turetta.
Sul caso si è pronunciata, il 3 dicembre, la Corte d’assise di Venezia, condannando Turetta all’ergastolo. Gli era stato contestato l’omicidio volontario con l’aggravante della premeditazione, della crudeltà, dell’efferatezza, oltre a quelle del sequestro di persona, dell’occultamento di cadavere e dello stalking. Ma la Corte non ha accolto la richiesta di condanna del pubblico ministero, per le aggravanti di crudeltà e di stalking. Allora cos’è la crudeltà?
Turetta, la sera dell’11 novembre, aveva portato da casa il coltello con cui avrebbe ucciso Giulia, e i materiali per bloccarla e avvolgerne il cadavere. L’ha incontrata per l’ultima volta e l’ha uccisa con 75 coltellate. Settantacinque coltellate. «Ci sono state ferite anche in posizioni inaccettabili per far morire una persona, per esempio il sopracciglio o l’orecchio», ha commentato il PM, «C’è stata insensibilità all’altrui patimento. La pressione sulla bocca, 25 tagli sulle mani, le urla, potete solo provare a immaginare. Questa è la crudeltà».
Risulta sconvolgente anche il non riconoscimento dello stalking, come ha commentato Elena Cecchettin, sorella di Giulia: «È un’ennesima conferma che alle istituzioni non importa nulla delle donne; quante donne non potranno mettersi in salvo dal loro aguzzino se nemmeno nei casi più palesi non viene riconosciuta una colpa?». È infatti emerso dalle indagini che Giulia si sentisse estremamente a disagio dai continui tentativi di contatto da parte di Filippo, che era perseguitata dall’ ossessione che minacciava il suicidio se lei non gli avesse dato ascolto, affetto. “Vorrei non avere più contatti con lui, vorrei fortemente sparire dalla sua vita” aveva affermato Giulia. Ed è sparita davvero, ma non dalla vita di Turetta, lui ricorderà per sempre.
Questa vicenda ci fa interrogare sul senso e sulla puntualità delle pene previste dal nostro sistema giudiziario; ci fa riflettere sulla gravità di certe situazioni e ci sprona all’ azione, per essere migliori e prendere provvedimenti subito, non quando è già troppo tardi…
Il padre di Giulia, autore del libro “Cara Giulia.
Quello che ho imparato da mia figlia” e fondatore della “Fondazione Giulia”, ha commentato così la condanna per Filippo Turetta: «Giustizia è stata fatta secondo le leggi vigenti, il percorso ora si fa su altri banchi. La battaglia contro la violenza sulle donne continua; è un percorso che dobbiamo fare come società». Questa è la storia di Giulia. Ma dietro di lei ci sono migliaia di donne di cui non sapremo mai il nome e assassini in libertà. è tempo di cambiare, per chi non c’è più e per chi invece è ancora in tempo.
Sara Todeschini